Una riflessione del Laboratorio Salute Popolare sui neonati CAU (centri di assistenza urgenza), il tentativo di riordino dell’emergenza, la solita subordinazione della salute territoriale e tutti i ripensamenti fatti in materia sanità dal “post covid” ad oggi.

Il 1 novembre hanno avuto ufficialmente inizio le operazioni di “riordino dell’emergenza-urgenza” della sanità del territorio di Bologna, attraverso l’apertura dei cosiddetti Centri di Assistenza Urgenza (CAU), ovvero strutture sanitarie preposte alla
gestione dei “codici bianchi e verdi” che negli ultimi anni sovraffollano i Pronto Soccorso territoriali.

Il primo CAU ad entrare in funzione è stato quello di Budrio (nella sede dell’ex pronto soccorso) e sarà seguito da Vergato, Casalecchio e quartiere Navile di Bologna (nei locali della Casa della Salute); si prevede che 30 di questi centri aprano entro il 2023 in tutta la regione, seguiti da altri 30 circa nel 2024.
Inizialmente l’accesso a questi centri sarà diretto, solo in seguito verrà predisposto un servizio telefonico che orienterà la persona su modalità e orario di accesso; sarà prevista la presenza di un medico e di un infermiere per centro, “adeguatamente formati” (per quanto non siano ancora per nulla chiari i contenuti di tale formazione, ma solo che questi si
concentreranno, per così dire, in circa 30 ore di lezioni pratiche e teoriche…). Ai cittadini verrà fornito un “elenco dei sintomi” per cui rivolgersi al centro, in una sorta di manuale di istruzioni per l’uso. All’interno di questi centri verranno erogate prestazioni di primo livello (esami di laboratorio, radiografia del torace, elettrocardiogramma, ecografia) in caso di
quadri di lieve entità, verrà invece allertato il servizio di emergenza (tramite attivazione telefonica del 118 per i centri che apriranno al di fuori di un ospedale) per quadri che necessitino di ospedalizzazione, con successivo trasporto presso un Pronto Soccorso.

Il pretesto per far nascere questi centri deriva dal dato per cui nel 2022 il 66% degli accessi in Pronto Soccorso ha riguardato codici bianchi o verdi, e “solo” nel 5% dei casi è seguito un ricovero. Da qui, per le varie amministrazioni locali è stato a quanto pare semplice dedurre la inutilità degli innumerevoli accessi ai Pronto Soccorso e degli interventi delle auto mediche
sul territorio, per cui la soluzione è risultata altrettanto semplice e immediata: chiudere i pronto soccorso periferici, tagliare le automediche e aprire al loro posto dei nuovi centri di assistenza dell’urgenza. Peccato che, nel fare ciò, pare ci si sia completamente dimenticati che per gestire l’urgenza e l’emergenza sono necessarie predisposizione, preparazione e
professionalità del luogo e del personale sanitario addetto a tali attività di cura.

L’assessorato regionale alla sanità si dichiara “soddisfatto della scelta”, definendo il modello “profondamente innovativo”, “un esempio per il paese”, in una fase in cui “il servizio sanitario nazionale è costretto a cambiare perché in ballo c’è la sua stessa sopravvivenza”.
Noi, invece, come operatrici sanitarie, promotrici di salute, in dialogo costante con una popolazione in transito o residente a Bologna che spesso riscontra difficoltà ad accedere al Servizio Sanitario, ancor più a diventare parte attiva dei processi di produzione della salute, non possiamo non esprimere preoccupazione, da un lato per il contenuto di scelte come questa, dall’altro per le modalità di scelta, per cui mai si interpellano tutte quelle figure (dalle operatrici, alle lavoratrici, alla cittadinanza tutta) che nelle varie strutture sanitarie del territorio e negli ospedali lavorano o le attraversano e quindi si scontrano con gli innumerevoli limiti che li caratterizzano.

Dunque, sulla base dei pochi dati pratici sull’apertura dei nuovi CAU (peraltro gli unici finora estrapolabili dalle varie dichiarazioni pubbliche), vogliamo mettere in luce e provare ad analizzare alcuni dei problemi immediatamente evidenti di questo progetto, in quanto, nonostante l’entusiasmo dell’assessorato, non sono ancora chiari alcuni aspetti fondamentali
per il corretto funzionamento di una qualsiasi struttura sanitaria: anzitutto, se la formazione prevista, e ad oggi non ancora erogata, alle operatrici sanitarie di questi centri le metterà nelle condizioni di operare adeguatamente (consci ad esempio che l’interpretazione di ECG e RX torace è di competenza specialistica; in altre parole, non basta essere laureatə in
medicina per saper leggere e refertare questo tipo di esami); a dire il vero non è neanche del tutto chiaro quali e quanti esami di diagnostica, più o meno specialistica, saranno disponibili e quali interventi terapeutici potranno e dovranno essere forniti;
d’altro canto, è difficile pensare come sia possibile “scremare a priori” la tipologia di problemi che l’eventuale utenza può o non può portare all’attenzione di medicə e infermierə CAU, sulla sola base di una lista di sintomi (già pubblicata su alcune testate giornalistiche) che lə stessə cittadinə dovrà essere in grado in un qualche modo di capire e interpretare,
definendo il livello gravità del proprio quadro, dunque scegliendo in autonomia a quale struttura sanitaria rivolgersi (medico di base? ospedale? guardia medica? CAU?…), in una sorta di inquietante “auto-triage”.
Alcune gravi patologie tempo-dipendenti (es. infarto del miocardio, ictus, sindrome aortica acuta, peritonite all’esordio) potrebbero comprensibilmente essere male interpretate da un cittadino “laico” (peraltro durante lo stress emotivo che questi quadri producono), portando quindi ad un contatto futile con il servizio sanitario (quello con il CAU) e ad una perdita di tempo per raggiungere il setting assistenziale appropriato.

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